Carl J Reynolds, Rupa Sisodia, Chris Barber, Miriam Moffatt, Cosetta Minelli, Sara De Matteis, John W Cherrie, Anthony Newman Taylor, Paul Cullinan
PMID: 36635100
DOI: http://dx.doi.org/10.1136/oemed-2022-108404
Introduzione
La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia polmonare fibrotica progressiva che nel 2016 ha rappresentato la causa di morte di circa 5000 persone in Inghilterra e Galles. L’età media di insorgenza è di 70 anni e la condizione è più comune negli uomini, nei lavoratori manuali e in coloro che vivono in aree industriali. La prognosi è infausta, con una sopravvivenza mediana di 3 anni. La fisiopatologia dell’IPF è complessa e si ritiene che sia il risultato di un danno epiteliale, con un processo di riparazione deregolato. Sono stati caratterizzati diversi polimorfismi genici che determinano una vulnerabilità dell’epitelio alveolare, tra cui anomalie nei geni della mucina (MUC5B), della proteina surfattante e della telomerasi (TERT e TERC).
Le cellule epiteliali che esprimono MUC5B sono il tipo di cellula mucosa dominante delle cisti a nido d’ape che caratterizzano il modello di cicatrizzazione polmonare, la polmonite interstiziale abituale (pattern UIP), riscontrabile sia nell’IPF che nell’asbestosi.
Le probabilità di sviluppare la fibrosi polmonare sono 5 volte più alte per i soggetti portatori di una copia dell’allele della malattia, e sale a 20 volte per gli individui con due copie, rispetto agli individui che non portano alcuna copia dell’allele della malattia. La frequenza dell’allele della malattia è di circa il 9% nelle popolazioni di origine europea.
Gli studi tossicologici dimostrano che l’esposizione all’amianto determina la produzione di interleuchina-1 beta (IL-1β), una citochina pro-infiammatoria chiave nell’IPF ed un potente stimolo per l’espressione di MUC5B. Nel Regno Unito, la mortalità per IPF è fortemente correlata con la mortalità per mesotelioma e con le importazioni storiche di amianto, infatti si pensa che una parte della mortalità per IPF sia in realtà dovuta a un’esposizione all’amianto non riconosciuta. L’esposizione professionale occulta all’amianto come causa di IPF è una questione aperta da almeno 30 anni e viene portata alla ribalta in Paesi come il Brasile, la Russia, l’India e la Cina, che utilizzano ancora grandi quantità di amianto.
Materiali e Metodi
E’ stato condotto uno studio multicentrico caso-controllo. 21 ospedali in Inghilterra, Scozia e Galles sono stati selezionati in base alla presenza di un servizio specializzato in IPF, alla dispersione geografica e ai contatti personali. I soggetti arruolati nello studio erano uomini con prima diagnosi di IPF ricevuta tra il 1° febbraio 2017 e il 1° ottobre 2019. Come per i casi, i controlli erano uomini che hanno effettuato accessi negli ambulatori, per visite di routine, selezionati tra il 1° febbraio 2017 e il 1° ottobre 2019. Sono stati abbinati ai casi in base all’età, utilizzando fasce di età di cinque anni, e sono stati reclutati in un rapporto 1:1 con i casi per raggiungere un obiettivo di reclutamento predefinito.
Un intervistatore addestrato, che non era a conoscenza dello stato di caso/controllo dei partecipanti, ha somministrato telefonicamente un questionario strutturato, utilizzando un’applicazione web su misura, al fine di raccogliere informazioni sulle occupazioni lavorative, sul fumo e sulla dispnea. Le occupazioni sono state codificate automaticamente secondo una classificazione occupazionale standardizzata del Regno Unito. Per i partecipanti che hanno ricordato di aver lavorato con l’amianto, è stata anche registrata una valutazione dettagliata di ogni compito lavorativo per stimare l’esposizione totale all’amianto.
L’obiettivo primario era valutare la possibile associazione tra esposizione all’amianto e IPF.
Discussione e Conclusioni
E’ stato effettuato uno studio caso-controllo per indagare l’esposizione storica all’amianto in ambito professionale come potenziale fattore di rischio per l’IPF negli uomini. E’ stato riscontrato che l’esposizione all’amianto era comune sia nei casi (66%) che nei controlli (63%), senza alcuna differenza significativa tra i due gruppi. La sola storia di esposizione professionale all’amianto non è stata associata ad un aumento del rischio di IPF.
E’ stata identificata una nuova interazione significativa a tre vie tra gene, fumo ed esposizione all’amianto. Per gli individui portatori dell’allele minore, i casi di IPF avevano una probabilità 5 volte maggiore rispetto ai controlli di riferire una storia combinata di fumo di sigaretta e di attività occupazionale protratta per almeno un anno in un posto di lavoro ad alto/medio rischio di esposizione all’amianto, una relazione che non è stata riscontrata con nessuno dei due fattori di rischio ambientale presi sigolarmente.
La fibrosi polmonare è una malattia legata all’età e causata, si presume, da lesioni epiteliali in individui con un’adeguata suscettibilità genetica, che possono avere o meno una causa identificabile. Il polimorfismo dell’allele promotore di MUC5B è comune e costituisce un forte fattore di rischio genetico per una serie di malattie polmonari fibrotiche, tra cui l’IPF, l’asbestosi, la polmonite da ipersensibilità cronica e la malattia polmonare interstiziale associata all’artrite reumatoide. In linea con i risultati precedenti, in questo studio la frequenza dell’allele minore era significativamente più alta nei casi di IPF (34%) rispetto ai controlli (12%) ed era fortemente associata alla malattia in modo allele-dipendente. Anche l’anamnesi di fumo di sigaretta, un altro fattore di rischio accertato per l’IPF, era significativamente più comune tra i casi rispetto ai controlli. La prevalenza di chi ha sempre fumato è molto simile a quella riportata da altri studi britannici sull’IPF. È interessante notare che è stata riscontrata un’interazione tra il fumo di sigaretta e l’esposizione professionale all’amianto.
Data la preoccupazione che l’asbestosi “occulta” possa essere erroneamente classificata come IPF e l’associazione tra la mortalità per IPF e le importazioni storiche di amianto nel Regno Unito, sono state condotte interviste dettagliate per esaminare un potenziale legame causale tra l’IPF e la precedente esposizione professionale all’amianto. I risultati ottenuti indicano che, almeno negli uomini del Regno Unito, non esiste un’associazione generale tra la sola esposizione professionale all’amianto e il rischio di sviluppare IPF. Naturalmente si pone la questione se alcuni casi debbano essere più propriamente etichettati come asbestosi, ma notiamo che l’8% sia dei casi che dei controlli aveva esposizioni cumulative stimate all’amianto superiore a 25 fibre ml–¹ anni, la soglia di esposizione secondo i criteri di Helsinki alla quale possono verificarsi casi di asbestosi. Pertanto, in questa generazione di uomini britannici affetti da fibrosi interstiziale, una storia di esposizione all’amianto è comune, ma non più di quanto non lo sia in altri uomini ricoverati in ospedale. Le misure di controllo dell’amianto hanno ridotto significativamente l’esposizione nelle generazioni successive.
La diagnosi di “asbestosi” viene fatta nei pazienti con UIP che hanno avuto una notevole esposizione all’amianto. Tuttavia, non è stato studiato formalmente cosa costituisca un’esposizione sufficiente a causare l’asbestosi e, in particolare, a quale livello di esposizione cumulativa il rischio di fibrosi polmonare sia più che doppio rispetto alla popolazione generale. In questo studio, il livello di esposizione all’amianto non era diverso nei casi di UIP rispetto al gruppo di controllo. Nessun caso di UIP poteva quindi essere attribuito con certezza all’esposizione all’amianto e quindi in nessun caso si poteva fare una diagnosi di asbestosi.
Il nostro studio ha rilevato che la durata mediana dell’attività occupazionale in un posto di lavoro ad alto/medio rischio di esposizione all’amianto per i casi di IPF è stata di 20 anni, con il 57% dei pazienti che ha lavorato per almeno 5 anni in un contesto a medio rischio o per almeno 1 anno in un ambiente ad alto rischio. Un caso di IPF su 4 era in grado di ricordare una precedente esposizione professionale all’amianto e di questi un terzo aveva avuto un’esposizione stimata nel corso della vita superiore a 25 fibre ml-¹ anni.
È ormai assodato che gli uomini nati nel Regno Unito negli anni ’40, che lavoravano negli anni ’60 e ’70 e in particolare nell’industria delle costruzioni, hanno avuto esposizioni professionali all’amianto molto più rilevanti rispetto alle generazioni successive.
I dati dei 3 Centri che hanno fornito tassi di partecipazione dettagliati indicano un tasso di partecipazione complessivo di circa il 90% per i casi e l’85% per i controlli. Il presente studio è il primo a indagare l’interazione tra fattori di rischio ambientali e genetici accertati per la fibrosi polmonare, una combinazione di esposizione storica all’amianto sul posto di lavoro, precedente al fumo di sigaretta e una combinazione di fattori di rischio ambientali e genetici per la fibrosi polmonare. Dopo la stratificazione per genotipo, abbiamo riscontrato una significativa interazione a tre vie. Questa triplice combinazione di fattori di rischio era presente nel 32% dei casi di IPF sottoposti a genotipizzazione.
Un’interpretazione di questi risultati è che in individui geneticamente suscettibili, l’esposizione cronica ad una combinazione di fibre di amianto e fumo di sigaretta provochi infiammazione e lesione epiteliale sufficienti a provocare la fibrosi polmonare. Questo modello ha una plausibilità biologica, poiché la variante del promotore di MUC5B è associata a una sovra-espressione di MUC5B che porta a una disfunzione mucociliare e alla ritenzione delle particelle inalate. Negli studi sui topi, sia il fumo di sigaretta che l’esposizione all’amianto aumentano la produzione di specie reattive dell’ossigeno, ritenute importanti nella patogenesi della fibrosi polmonare. L’esposizione all’amianto e il fumo attivano anche l’inflammasoma NLRP3 con conseguente aumento del rilascio di IL-1β, un potente stimolo per l’aumento dell’espressione di MUC5B.
Complessivamente, non vi sono prove che l’esposizione professionale all’amianto sia associata all’IPF. Ciò mette in evidenza le difficoltà intrinseche che i medici specialisti in ILD (= Interstitial Lung Diseases, ovvero interstiziopatie polmonari) devono affrontare per differenziare correttamente i pazienti con IPF e asbestosi.